mercoledì 21 gennaio 2015

le tabelline?!?

Forse sembrerà un' pò esagerato ma questi bambini sanno la tabellina del 2 !!

lunedì 5 gennaio 2015

matematizzare la realtà!


Recenti studi neurologici hanno dimostrato che il cervello umano è geneticamente predisposto al calcolo.

E che è possibile sviluppare e rinforzare le capacità matematiche sei piccoli già dai primi anni di vita. 
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Spauracchio degli studenti (e degli adulti, quando capita di dover affrontare qualche calcolo), questa disciplina ci appare spesso un modo astratto e innaturale di rappresentare la realtà quotidiana.

Calcolatori dalla nascita
Invece è il nostro atteggiamento a essere quasi inspiegabile: i più recenti studi neurologici, infatti, hanno dimostrato che il cervello umano è predisposto geneticamente al calcolo esattamente come al linguaggio. In un’area particolare (detta corteccia fronto-parietale) sono presenti e attivi fin dalla nascita i circuiti neuronali matematici, una serie di “chip” superspecializzati nelle diverse forme di elaborazione numerica: misura delle quantità e dello spazio, tabelline a memoria, teoremi astratti, operazioni aritmetiche a mente e su carta, eccetera.
Questo significa che i bambini nascono già con l’idea di numero? “In un certo senso, sì”, risponde Fabrizio Doricchi, neuropsicologo della Fondazione Santa Lucia di Roma. “Appena è in grado di utilizzare bene l’organo della vista, l’essere umano sviluppa un’abilità chiamata ‘subitizing’ che gli consente di percepire a colpo d’occhio e in tempi fulminei quantità che vanno da 1 a 4. Da 5 in su, in genere non riusciamo più a valutare l’esatta numerosità e dobbiamo metterci a contare e sommare gli oggetti, cosa che ovviamente bambini piccoli e animali non sanno fare (sebbene tra i 6 e i 9 mesi di vita il bimbo riesca già a distinguere forti differenze di numerosità, per esempio tra 8 e 16).
- Ma il ‘subitizing’ resta una dote estremamente sofisticata poiché è la prima forma di intelligenza astratta: i cuccioli di Homo sapiens e alcune specie di scimmie (come gli scimpanzé) sanno riconoscere una quantità numerica indipendentemente dalla forma degli oggetti osservati o dalla loro disposizione nello spazio e persino nel tempo”.

Le responsabilità della scuola
La presenza innata nell’uomo e in alcuni animali del senso numerico, della capacità di misurare una quantità, suggerisce che si tratti di una dote conquistata attraverso l’evoluzione per motivi molto pratici: per un branco, infatti, è importante stabilire rapidamente se un gruppo di avversari sia più o meno numeroso, così come per un animale vegetariano ha senso scegliere l’albero più carico di frutti su cui arrampicarsi.
- Perché, allora, con la crescita sembriamo smarrire questi doni naturali e i numeri si trasformano in entità estranee? In fondo possediamo la medesima predisposizione genetica per il linguaggio, e tuttavia una volta diventati adulti non troviamo difficoltà a parlare o a scrivere.
Un’incongruenza che molti hanno tentato di spiegare.
Secondo il grande matematico inglese Keith Devlin, queste abilità si sono sviluppate nel corso di centinaia di migliaia di anni per aiutarci ad affrontare il mondo fisico della natura e degli animali, mentre i primi concetti astratti dell’algebra e della geometria sono stati inventati solamente poche decine di secoli fa e non ci vedono ancora pronti a digerirli.
- Secondo altri studiosi, invece, le colpe ricadono anche sui metodi d’insegnamento utilizzati che non riescono a utilizzare la spontaneità della matematica “naturale”, trasformandola in un’astrazione quasi filosofica. Ne è convinto Giorgio Bolondi, ordinario di Geometria all’università di Bologna: “Questa disciplina è diventata, nell’immaginario collettivo, qualcosa di esclusivamente scolastico che non ha quasi rapporti con il mondo reale.
Per fare un’analogia, è come se un ragazzino amasse molto viaggiare, ma non apprezzasse altrettanto la geografia come si insegna a scuola. I problemi di apprendimento nascono spesso da questo senso di estraneità con la vita di tutti i giorni”.

Come sviluppare le sue capacità
Una possibile soluzione consiste nello sfruttare la predisposizione naturale del bambino, aiutandolo a sviluppare e rinforzare le sue capacità matematiche nel periodo tra la nascita e la prima elementare. “Questo non significa assolutamente anticipare l’apprendimento scolastico”, rassicura Bolondi. “Certo, potremmo prendere un piccino di 3 anni e insegnargli con successo a effettuare calcoli: ne avrebbe tutte le risorse mentali. Ma potere non significa dovere, e a quest’età non è bene distoglierlo da compiti fondamentali per la crescita come l’esercizio della fantasia e il piacere del gioco”.
Nessun “apprendimento precoce”, insomma. E niente numeri od operazioni aritmetiche. Il trucco consiste nel “matematizzare” la realtà intorno al bambino, cioè indurlo a passare da una rappresentazione elementare dell’ambiente a una sempre più strutturata, in cui si abitui a prendere in considerazione elementi come la numerosità, la forma, l’estensione, la quantità. “Questo si ottiene facilmente”, assicura Bolondi.
“Innanzi tutto lasciandolo libero di muoversi e di analizzare la spazio circostante, in casa e fuori. Un esempio quasi banale: esplorare una stanza significa per lui ricostruirla nel suo cervello, farne una raffigurazione geometrica.
E incoraggiare il bambino a disegnare un oggetto (una casetta, un’auto, un animale) lo obbliga a rappresentarlo in piccolo, ricalcolando mentalmente le misure e le proporzioni in base a una scala ridotta. In sostanza, non dobbiamo insegnargli a contare, ma metterlo in situazioni un po’ problematiche in cui abbia da solo la necessità di farlo”.
Esistono numerose occasioni in cui, sempre con la presenza e l’aiuto organizzativo dei genitori, il bambino si troverà a esercitare le proprie doti spontanee di calcolo e di raffigurazione geometrico-spaziale.
- Un esempio è il gioco delle impronte, adatto a 2-3 anni d’età. Per cominciare, individua una superficie su cui sia possibile lasciare tracce (per esempio uno strato di pasta da modellare, la sabbia umida, oppure la neve); quindi, utilizzando un certo numero di pupazzetti, o soldatini, o animaletti di plastica, inizia a raccontare una storia al tuo bambino muovendo i personaggi e lasciando le loro impronte. Al termine, dopo 3 o 4 serie di tracce, fagli notare come i vari soggetti lascino segni differenti, quindi chiedigli di mettere in relazione ciascun piede o zampa con la relativa impronta. Continua il gioco ristampando le stesse impronte senza lasciargli vedere a chi corrispondono e poi chiedendogli di riassegnarle ai personaggi. L’importante è che arrivi ad associare le tracce ai soggetti e viceversa.
Ottenuto ciò, passa a utilizzare impronte con la stessa forma ma di misura diversa (per esempio, dopo il piccolo orsetto arriva papà orso...), aiutandolo a riconoscere un’analogia tra le due serie. “Se per un matematico queste sono tecnicamente ‘similitudini’, per un bambino è semplicemente un ottimo esercizio per elaborare il concetto geometrico di ‘forma’”, spiega il professor Giorgio Bolondi.

Se svolgessimo una piccola indagine statistica tra amici e conoscenti, domandando loro quale materia scolastica abbiano “patito” di più, probabilmente la maggioranza risponderebbe: la matematica.

La prima regola: imparare giocando